a cura di Sarah Procopio*

“Seta” sembra proprio essere la parola d’ordine di questo marzo 2019. Mentre l’Italia è il primo Paese del G7 a sottoscrivere il memorandum sulla Via della Seta per rafforzare le relazioni commerciali tra la Cina e il Mediterraneo, Catanzaro festeggia il Cinquecentenario dell’Arte della Seta. E per quanto possa sembrare un’affermazione azzardata, questi due eventi hanno molto in comune.

Iniziamo col dire che l’espressione “Via della Seta”, dal termine tedesco Seidenstraße coniato dal geografo Ferdinand von Richthofen sul finire dell’Ottocento, è nata per indicare l’insieme di itinerari marittimi e terrestri che dal Medioevo avevano legato l’Estremo Oriente alle piazze occidentali favorendo così gli scambi economici e commerciali e di conseguenza quelli culturali. Tra questi itinerari, porti, approdi, la Calabria era inclusa grazie alla sua posizione geografica nel cuore del Mare Nostrum, che le aveva permesso sin dall’Antichità di ricoprire un ruolo di rilievo tra gli scambi commerciali del bacino mediterraneo.

Questo ruolo divenne progressivamente sempre maggiore dal periodo bizantino grazie alla produzione ed esportazione calabrese di seta, principalmente grezza ma anche lavorata. Uno dei riconoscimenti più importanti per questa produzione giunse il 30 marzo del 1519 quando l’imperatore Carlo V con un Diploma istituì a Catanzaro, così come avvenuto precedentemente a Napoli sotto Ferdinando I d’Aragona, il Consolato dell’Arte della seta[1]. Questa decisione si concretizzò nella redazione dei Capitoli Ordinationi et Statuti dell’Arte della Seta, ovvero, una serie di regolamentazioni che concernevano qualsiasi aspetto dell’industria cittadina, volte a tutelare la qualità dei manufatti che vi si realizzavano.

Dalle prime righe della fonte si colgono le finalità della stessa:

Capitoli Ordinationi et Statuti firmati et fatti con intervento autorità et presentia dell
Eccellentissimo Sig. Mutio Mirabello Regio Capitano
della Città di Catanzaro per l’infrascritti Magnifici
Consuli et Deputati in publico Parlamento della Ma
stranza dell’Arte della Seta; quali si haveranno di
ohra innanti inviolabilmente osservare di ciasched
uno di detta Arte matriculato per aumento nobil
tà e benefitio dell’Arte predetta[2].

Attualmente gli Statuti sono conservati presso la Camera di Commercio di Catanzaro, Ente che già nel 1880 ne promosse la prima pubblicazione, sottolineando il fatto che la data più antica all’interno di questi documenti fosse il 1569 e che quindi probabilmente le redazioni precedenti realizzate in seguito al Diploma erano andate perse.

Gli Statuti sancirono il momento clou della produzione catanzarese, produzione che aveva le sue origini nel periodo di poco successivo alla fondazione della città stessa. Già dal XII secolo a Catanzaro i cittadini erano impegnati nella produzione sia di seta grezza che di tessuti in seta.

Agli inizi della prima età moderna, Catanzaro era ormai nota per la produzione di pregiati velluti e possedeva un’organizzazione tale da permetterle di esportare e commercializzare i propri tessuti ed inserirsi in quello che si può considerare un mercato globale ante litteram[3].

Fu proprio il passaggio tra il periodo medievale e la prima età moderna a segnare lo sviluppo di nuovi sistemi economici che prevedevano l’utilizzo di strumenti innovativi adatti alla gestione di commerci a lunga distanza. Con il passare del tempo l’esportazione di questa materia prima venne affiancata dall’esportazione di manufatti realizzati nei centri manifatturieri locali.

Nel Quattrocento, con l’exploit dell’industria serica fiorentina, la Calabria divenne meta prediletta di mercanti e banchieri del centro e del nord Italia per l’acquisto di seta grezza, non ancora prodotta in grandi quantità nelle regioni settentrionali. Ma negli acquisti di questi mercanti non mancavano anche velluti, drappi e damaschi già lavorati proprio nell’hinterland catanzarese. Ogni anno, presso le fiere del Regno, essi venivano acquistati da veneziani, spagnoli, genovesi, olandesi e grazie a questi mercanti forestieri i tessuti catanzaresi varcavano non solo i confini della regione, ma anche quelli del Paese[4].

Tutto ciò era possibile grazie al vero cuore economico pulsante nella città, rappresentato in primo luogo dalla presenza di amalfitani ed ebrei, che investirono nella crescita di questa industria cittadina. Proprio nella piazza di fronte alla sede della Camera di Commercio di Catanzaro, Piazza Grimaldi, già – non a caso – Piazza dei Mercanti, vi è una piccola via, che porta verso l’ex quartiere Paradiso, poi Case Arse, che nel Medioevo pullulava di mercanti e tessitori[5]. L’abilità degli artigiani catanzaresi nella realizzazione dei velluti era ampiamente nota e ne sono riprova due episodi: nel 1432 il rabbino palermitano chiamava proprio un ebreo catanzarese per insegnare a sua moglie l’arte della tessitura, mentre nel 1486 a Messina si assumeva un artigiano ebreo proveniente da Catanzaro per dare il via alla produzione di velluti[6].

La produzione catanzarese continuò, nonostante cambiamenti politici ed economici e momenti di crisi, a distinguersi per la bellezza dei propri manufatti di cui diversi esempi sono conservati nelle chiese cittadine e in collezioni private; le tecniche continuavano a migliorare e ad arricchirsi grazie allo scambio di caratteri stilistici ed estetici che viaggiavano e si mescolavano percorrendo la via della seta.

“Una strada a doppio senso di percorrenza e lungo di essa devono transitare, oltre alle merci anche idee, talenti, conoscenze, soluzioni lungimiranti ai problemi comuni e progetti di futuro.”

Con queste parole il Presidente Mattarella ha commentato l’incontro con il presidente Xi Jinping del 22 marzo 2019; ed è veramente deludente che a questa strada a doppio senso, oggi, la Calabria sembri non poter partecipare, nonostante la presenza di un porto fondamentale come quello di Gioia Tauro. Al contrario, nei secoli passati la Calabria rivestì un ruolo fondamentale nei commerci lungo la via della seta grazie all’unione tra le proprie produzioni d’eccellenza e l’intraprendenza dell’imprenditoria locale e non solo. Da questo connubio essa uscì arricchita nella propria tradizione che a tutt’oggi si distingue per i caratteri più vari, segno di un contesto multiculturale. Alla luce di queste considerazioni, oggi il più grande augurio che si possa fare alla città di Catanzaro e alla Calabria in occasione di questo Cinquecentenario è quello di un recupero del ruolo economico e strategico che per secoli contraddistinse il territorio calabrese; ruolo che si può riacquisire solo grazie ad una classe politica ed imprenditoriale, che, come a Catanzaro nel XVI secolo, punti alla crescita del territorio e alla tutela delle proprie capacità produttive per una maggiore competitività.

Tanti auguri Seta!

*Laureata in Scienze Storiche ed Orientali all’università di Bologna
con una tesi in Storia Medievale dal titolo
“L’arte della seta nella città di Catanzaro nel periodo medievale”

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[1]A. Toraldo, L’arte della seta a Catanzaro nel Mezzogiorno tra Sei e Settecento, Soveria Mannelli 2015, p. 28.
[2](a cura di) O. Sergi, Capitoli ordinazioni e statuti dell’Arte della Seta di Catanzaro, Catanzaro 2010, p. 37.
[3]S. A. Reinert, R. Fredona, Merchants and the Origins of Capitalism, Harvard 2017.
[4]U. Campisani, Tradizioni artigiane: il telaio in Calabria, in «Lares», 36, 1/2 (1970), pp. 89-97: p. 89.
[5]O. Sergi, La parola al commercio alla seta e ai tessuti. Storia e testimonianze delle colonie di Ebrei, Amalfitani e Siciliani a Catanzaro dal XII al XVII secolo. Il racconto di una fiorente rinascita commerciale che abbracciò il Mezzogiorno, «Obiettivo Calabria», XLVI, 6, 2008, pp. 52-55; (a cura di) O. Sergi, Seta il filo dell’arte: tessuti a Catanzaro dal 15 al 20 sec., Catanzaro 2009.
[6]L. Molà, The Silk Industry of Renaissance Venice, Baltimore-London 2000,p. 13.