Dopo aver argomentato sull’identità online, cioè quella che consente di rappresentare il sé costruito attraverso il web, con lo scopo di comunicare sui social, si rende necessaria una riflessione sulle identità di genere.

Per “identità” si intende la scoperta di sé come individuo, per “genere” l’essere uomo o essere donna non solo in senso biologico ma anche comportamentale, cioè imparare ad esserlo attraverso un processo di costruzione sociale delle caratteristiche biologiche (ses- so).

Caratteristiche intese come aspettative sociali dell’essere uomo o donna, cioè come ci si aspetta che si comporti l’uno o l’altro. Per cui si tratta di un adattamento a delle abitudini e consuetudini: un prodotto della cultura umana, variabile nel tempo e nello spazio. Il rapporto tra l’aspetto sociale e quello biologico (tra sesso e genere) è un tema molto denso, che è stato al centro del dibattito (neo)femminista.

Tra gli anni sessanta e settanta del Novecento, le studiose femministe hanno esplorato la complessa tematica della relazione che esiste tra genere e potere, focalizzandosi so- prattutto sulla subordinazione femminile e sulla produzione, riproduzione e istituzionaliz- zazione del dominio maschile. Ciò che viene contestato è la presunta “inferiorità” del genere femminile che, nel corso della storia, è stata insita nell’ordine naturale delle cose. Tali studiose individuano il seme della discriminazione nella trasformazione della diversità biologica, in differenze di ruoli e in differenze sociali: ciò ha sancito il diverso coinvolgimento dei due sessi nella sfera del lavoro familiare e delle attività produttive.

È risaputo che sulle donne grava la maggior parte del lavoro familiare, sopportato e supportato con naturalezza proprio geneticamente adatto al ruolo che le è da sempre stato destinato. Ad oggi si è aggiunto anche il peso del lavoro produttivo, cioè quello fuori casa ed è sta- to semplicemente chiesto di adattare le capacità di adattamento e quello che è definito il “sesso debole” ha risposto bene dimostrando di essere all’altezza di ricoprire anche posizioni di potere che in pre- cedenza risultavano esclusivamente maschili.

La socializzazione gioca un ruolo di grande importanza nella formazione delle identità e dei ruoli maschili e femminili: da essa dipende la riuscita del processo di trasformazione delle caratteristiche biologiche in comportamenti a esse appropriati. E tali comportamenti, inizialmente ben definiti e delineati in una stabilità di genere, risultano oggi anche spesso un po’ confusi ed anche invertiti: vediamo uomini che ricoprono ruoli prettamente femminili, anche all’interno del nucleo familiare.

Interscambio e collaborazione fra i due sessi che punta ad un perfetto equilibrio di genere. Tuttavia non mancano episodi discriminatori e accentramenti di potere tenuti con man ferma dalla parte degli uomini, che restano legati a vecchie abitudini e concetti stereotipati. I processi discriminatori basati sull’appartenenza sessuale passano attraverso le influenze familiari, la letteratura, l’educazione scolastica, il rapporto con i pari, i messaggi dei media, il rinforzo istituzionale.

Lavoro maschile e lavoro femminile si differenziano sottomolteplici aspetti: parliamo del più volte menzionato di verso coinvolgimento dei due sessi nella sfera del lavoro familiare e delle attività produttive, del minore riconoscimento sociale del lavoro femminile e della molteplicità di aspetti che presenta l’occupazione femminile. La questione della marginalità delle donne nel mercato del lavoro non dipende solo dal fatto che le donne hanno un consisten-

te carico di lavoro familiare o subiscono interruzioni professionali dovute dalla maternità, di cui non si tiene conto nel disegnare l’organizzazione del lavoro. Per cui si prevede come “normale” un lavoratore privo di responsabilità familiari.

Il mercato del lavoro italiano presenta alcune specificità rispetto al contesto europeo e ciò sia nel modello di occupazione che di disoccupazione. Innanzitutto, la partecipazione delle donne italiane è di molto inferiore alla media europea.

Se da un lato è vero che il lavoro delle donne è fortemente aumentato nel corso degli ultimi vent’anni, d’altra parte il tasso di occu- pazione femminile in Italia è uno dei più bassi in Europa e ciò anche dove l’occupazione è più elevata. Tale espansione è avvenuta grazie alla crescita di professioni considerate “tipicamente femminili” (maestre, impiegate esecutive, infermiere, addette alle vendite, cameriere, colf ), ciò ha, da un lato protetto le donne dalla concorrenza maschile, ma le ha al contempo concentrate in alcuni settori.

In merito a tutte le dicotomie presenti ancora oggi basterebbe solo essere propositivi e puntare a maggiori confronti e incontri di dialogo per giungere a punti di unione per sce- gliere un tipo di innovazione che accolga entrambi i generi (uomo-donna) sullo stesso livello, cercando di comprendere una volta per tutte che l’unico obiettivo è quello di andare verso il miglioramento della vita, lontani da vecchi pregiudizi e falsi orizzonti che non porteranno mai a nulla.

Probabilmente anche cercare di costruire insieme una cul- tura diversa, adeguata ai tempi e allo spazio che occupiamo. Una cultura fatta di luoghi di incontro, intesi sia in senso fisico che in senso virtuale, dove ci si possa confrontare in modo propositivo. Dove le diversità di razza, religione, sesso ed etnia possano essere viste solo come arricchimento individuale e collettivo e non motivo di scontro come invece continua ad essere. Potrebbe sembrare solo un sogno o un’utopia, ma in fondo le utopie sono alla ba- se delle idee in cui credere. E il coraggio di portarle avanti spetta ad ognuno di noi.

di Barbara Rotundo