Essere davanti ad un’immagine significa disfarsi del sapere1. Incanto, rapimento, sì, possono accadere davanti ad un’immagine, ma anche inquietudine e terrore, dipende! Quel che succede è un po’ complicato. C’è un sapere che preesiste a tutti gli approcci, ad ogni ricezione delle immagini. Ma avviene qualcosa di interessante quando il nostro sapere pre- cedente, composto di categorie già fatte, è messo in pausa per un momento – che inizia nell’istante stesso in cui l’immagine appare.

L’apparizione di un’immagine, a prescindere dalla sua “potenza” e dalla sua ef cacia, ci “investe” quindi ci sveste. Il nostro linguaggio non è allora eliminato dalla dimensione visuale dell’immagine ma messo in discussione, ammutolito, sospeso. In seguito, dovranno intervenire il pensiero e il sapere affinché questo mettere in discussione si trasformi in un mettere in gioco: affinché davanti alla stranezza dell’immagine, il nostro linguaggio si arricchisca di nuove combinazioni e il nostro pensiero di nuove categorie .

Tutto cambia dal punto di vista dell’osservatore. Ed è così che occorre immaginare l’i- stante in cui si passa dall’altra parte, cioè dalla parte di chi deve comporre un’immagine e nel momento in cui la foto deve corredare una copertina entra in gioco la comunicazione. L’istante in cui vengono selezionate delle immagini per comporre la copertina di una rivista o di un periodico viene effettuato uno studio ben preciso che si colloca tra il “visual” e la “psicologia percettiva”. Il “visual” appartiene al disegno, al progetto, che prima anco- ra di essere strutturato verrà immaginato per come potrà essere letto. Un vero e proprio “Concept design”, ossia l’architettura di una composizione gra ca. Così come in qualunque opera d’arte quel che viene studiata è la struttura dell’immagine ritratta e quindi la prospettiva, le forme rappresentate e l’equilibrio fra colori.

La “psicologia della percezione” consente di perfezionare e completare l’aspetto cognitivo ed emozionale di ciascuno di noi; la lettura di qualunque immagine (così come riporta-

to nella breve introduzione) riporta ad un vissuto percettivo e cioè ad un tipo di esperienza visiva: a tutto ciò che ognuno di noi ha visto da quando è nato. Qui si forma la cono- scenza e la propria cultura visiva, un archivio di immagini che risiede nel nostro cervello e che al momento opportuno effettuerà la ricerca di quel che sta vedendo, offrendo una propria interpretazione.

E, dunque, niente viene lascia- to al caso, anche nel disegno di una testata non si tratta di una sterile scritta ma diventa quasi un marchio che sarà individuato e riconosciuto. Nel suo essere unico e distinguibile darà il nome e la sua identità.

Nel caso di una rivista istituzionale, qual è ObiettivoCalabria, la testata ha nel corso degli anni subito delle metamorfosi, dei veri e propri restyling nella scelta del carattere, della dimensione e, in ne, nell’aggiunta di un acronimo – “Oc” – che ne sintetizzi la lettura. Tutto inglobato in uno studio di equipe che il reparto gra co puntualmente sottoponeva a visione e approvazione del comitato editoriale, no ad arrivare ad una scelta di immagini che rappresentino il Territorio-Calabria. Un territorio descritto attraverso luoghi, prodotti, eventi. Inizialmente, come quasi sempre accade per tutti i periodici, la

copertina ha introdotto un tema che poi veniva riportato all’interno nella successione delle rubriche e nella stesu- ra degli articoli. Dunque, in un’accurata tecnica di marketing, il concetto di “identità territoriale” è stato rafforzato ripetendo le immagini all’interno della rivista assolvendo ad una doppia funzionalità: la prima di tipo strutturale, di settorializzare gli articoli e la successione delle rubriche; la seconda, di raccontare in modo più approfondito la no- stra Calabria e farne emergere il più possibile quelle che sono le nostre peculiarità, i nostri aspetti positivi, spesso troppo trascurati e celati da pregiudizi e stereotipi che l’opinione pubblica divulga attraverso i media.

Per cui, considerato che la rivista compie nel 2017 ben cinquantacinque anni, orgogliosi delle nostre colorate copertine ne riproponiamo una piccola parte per condividere l’orgo- glio della nostra cultura e della nostra identità che possiede i colori e i sapori di una storia ancora tutta da raccontare. Una storia cha narra di sviluppo, di innovazione, di progetti da condividere ed eventi. Come in una specie di missione che spetterebbe a ognuno di noi che, nel proprio piccolo qualcosa possiamo corfare per riuscire a migliorare.

di Barbara Rotundo